giovedì 1 settembre 2011

QUALITÀ? PIÙ CONCORRENZA, MENO ANTAGONISMO (ARTIFICIOSO)

di Sergio Fenizia
Pubblicato sul mensile Fogli, n. 359/360, luglio/agosto 2010, pp. 16-17

Le lezioni scolastiche sono terminate, ma le porte delle scuole ancora aperte per gli esami di  maturità e per gli insegnanti di ogni ordine e grado che continuano a lavorare (anche se pochi lo sanno), sia pure con ritmi e modalità differenti rispetto ai mesi precedenti.

Questo, infatti, è il periodo in cui possono riflettere con più calma sul lavoro svolto, dedicare qualche ora in più a leggere e a studiare, confrontarsi con colleghi della propria o di altre scuole.

Certo, non tutti gli insegnanti hanno lo stesso senso di responsabilità, non tutti in queste settimane continuano a dedicarsi al lavoro per il quale pur continuano a percepire lo stipendio.


È evidente, infatti, che tra i docenti esiste una grande varietà di atteggiamenti nei confronti dei propri doveri professionali. Lo può illustrare un altro esempio: accanto a chi durante l’anno si assenta raramente o mai, c’è chi lo fa sistematicamente (in qualche raro caso addirittura giustificandosi con motivi di solidarietà nei confronti dei supplenti che verranno chiamati a sostituirli).

Si tratta probabilmente di fenomeni marginali che, però, uniti ad altri fattori a volte più generali concorrono a sfigurare il volto della scuola e, soprattutto, a sottrarre energie (e slancio) ai docenti più coscienziosi che spesso appaiono (o si sentono) isolati, pur costituendo in verità la maggioranza.

Che esista un problema di qualità del corpo docente, è evidente. Che, pur non essendo l’unico, esso stia alla base dei problemi della scuola, è meno evidente, ma è certo. Che difficilmente possa essere risolto unicamente con sistemi di reclutamento che facciano riferimento alle sole competenze professionali in senso stretto, è forse ancor meno evidente, ma altrettanto certo. Che la soluzione vada cercata sulla strada della libertà, dell’autonomia e, quindi, della responsabilizzazione, è opinione sempre più diffusa e lo testimoniano provvedimenti normativi come la legge n. 62 del 2000 sulla cosiddetta parità scolastica.

In questa sede non intendiamo giudicare se dinamiche negative siano più ricorrenti in scuole gestite da enti privati o da enti pubblici, ma sottolineare che tra gli operatori scolastici ormai è raro trovare chi pensi ancora che il problema principale della scarsa qualità della scuola possa essere ridotto a una questione di quantità di denaro. Il vero problema – ormai evidente – è il modo in cui tale denaro viene speso. A conferma di ciò, in base a quanto riportato dal quotidiano Avvenire (28 maggio 2010, p. 15), in Lombardia ed Emilia-Romagna, a fronte di un risparmio del 20% rispetto alla media delle altre Regioni, gli studenti si collocano regolarmente nella parte alta delle graduatorie nazionali.

Appaiono quindi condivisibili le parole di Francesco Macrì e Vincenzo Silvano (rispettivamente Presidente nazionale FIDAE e Presidente CDO Opere Educative) pubblicate in un recente dossier di Tuttoscuola (n. 502, maggio 2010): «Il problema vero sul quale va posta l’attenzione di tutti non è la parità scolastica, come d’altra parte non è la difesa pregiudiziale e incondizionata della scuola statale, quanto piuttosto che la scuola, statale o paritaria, sia una scuola di qualità, perché solo se è veramente tale garantisce “effettivamente” il diritto soggettivo di istruzione e formazione degli studenti, assolve il mandato che la società le attribuisce e, quindi, può reclamare legittimamente il finanziamento pubblico. [...] Solo la qualità legittima l’esistenza di una scuola e non la “natura giuridica” del soggetto erogatore del servizio. Solo la qualità la rende autentica e credibile. [...] Ma la qualità non va solo annunciata, declamata, pretesa. Va progettata e costruita. Per farlo occorrono condizioni soggettive e oggettive, normative, legislative, organizzative e finanziarie». La premessa è, però, l’effettività di quella libertà in campo educativo della quale attualmente in Italia si percepisce il profumo (ma non ancora la sostanza) grazie a forme ancora embrionali di «buono scuola», che possono garantire l’uguaglianza tra i cittadini meno abbienti e quelli benestanti.

In questa prospettiva è positivo che la logica che voleva i rapporti tra scuola statale e non statale improntati a un antagonismo un po’ artificioso stia lasciando spazio ad altre che puntano su una sana concorrenza.

"Ma la qualità non va solo
annunciata, declamata, pretesa.
Va progettata e costruita"

Questa, infatti, scrivono Macrì e Silvano, «spinge nella direzione dell’ottimizzazione di tutto intero il sistema scolastico, perché ne attiva i dinamismi organizzativi e funzionali; ne stimola i processi di ricerca, di innovazione e sperimentazione; innalza gli standard di qualità dei servizi erogati; offre un ventaglio di scelte più ampio e personalizzato rispetto ai bisogni dei singoli; [...] offre effettivamente a tutti, senza alcuna preclusione di tipo economico, sociale, ideologico, etnico e religioso, la possibilità di accedere alla scuola più gradita e conforme alle proprie aspirazioni; è più garantista dei diritti di ciascuno, compreso quello di un servizio di qualità.

La parità scolastica, infatti, non è fine a sé stessa, ma in funzione del diritto della libertà di scelta educativa, come pure della qualità, della efficacia, della efficienza, della [...] massimizzazione delle risorse pubbliche, destinate all’istruzione e all’educazione. La parità produce, cioè, un “guadagno” per tutti». Scuola statale e non statale non sono come due muscoli antagonisti, ma come due braccia di un unico organismo.

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