lunedì 28 novembre 2011

DIRITTO A UN PADRE & UNA MADRE



di Sergio Fenizia
Pubblicato sul mensile Fogli, n. 367, marzo 2011, pp. 10-11.

Quando la notizia della tentata adozione era giunta ai suoi orecchi, l’insegnante era rabbrividito.
Aveva in classe un alunno originario dello stesso Paese dell’Est europeo dal quale proveniva quel ragazzino che aveva rischiato di essere adottato da un famoso cantante straniero e dal suo compagno. Il solo pensiero che anche il suo alunno avesse potuto corre un tale rischio gli aveva procurato i brividi. Il fatto che per qualcuno quello non fosse un rischio, ma un’opportunità, gli faceva piacere, perché era convinto che fosse un bene l’esistenza di visioni differenti, anche su temi così delicati. Dal canto suo, non aveva nulla contro i cantanti, né tanto meno contro gli omosessuali.



Riguardo a questi ultimi, anzi, era convinto che potessero essere (e spesso sono) cittadini esemplari per molti versi. Ma riteneva che essere padri e madri fosse un discorso speciale, che aveva molto, troppo, a che fare con la natura dell’uomo per essere trattato con criteri piegati (dal suo punto di vista) alle mode.

Inoltre, voleva troppo bene al suo alunno (e a quelli di tutto il mondo) per sopportare l’idea che il diritto di un essere umano ad avere una madre e un padre dovesse cedere di fronte al comprensibile desiderio di paternità di altri esseri umani che – per quanto ottime persone – non potevano offrire analoghe garanzie per la crescita integrale del minore.

In quell’occasione i giudici avevano poi «salvato» il bambino negando l’adozione.

Sebbene il tema sia alquanto diverso, a metà febbraio il ricordo di tale esperienza è affiorato alla nostra memoria nel registrare analoghe reazioni (di brividi) in colleghi e colleghe di varie scuole di fronte alla sentenza della Corte di Cassazione che «apriva» alla possibilità di adozione da parte dei single.

Nessuno riusciva a trovare un senso ragionevole a tale decisione. Un senso doveva esserci, ma per il momento l’unico punto su cui tutti sembravano d’accordo era l’esclusione della prospettiva educativa dal panorama delle possibili ragioni alla base del provvedimento.
La cosa li preoccupava non poco, perché a causa di una «deformazione» professionale consideravano quella educativa una delle principali strade per il perseguimento della piena maturità della persona e quindi della sua felicità.

Ogni insegnante sa quanto siano varie e a volte complesse le problematiche anche solo strettamente didattiche quando alle normali difficoltà che qualunque crescita comporta si aggiunge la circostanza dell’adozione. Normalmente i due genitori adottivi attraversano un (troppo) lungo iter di sofferenze e di specifica e seria formazione che consente loro una maturazione umana che risulta preziosa nell’adempiere alla responsabilità educativa che si assumono. Nonostante ciò, nonostante siano due, nonostante siano femmina e maschio, con tutta la buona volontà e con tutto il sostegno di chi a ciò è preposto, solo a costo di duri (ma gioiosi) sacrifici riescono (quasi sempre) nel loro intento. Gli insegnanti ovviamente ci mettono del loro. Ma per quanto competenti siano non possono che rabbrividire di fronte alla prospettiva che situazioni già delicate, vengano ulteriormente complicate.

Chi lavora a scuola sa benissimo come funzionano certe dinamiche. Per questo, gli insegnanti sono stati confortati dall’abbondanza di ricerche sociologiche e psicologiche che hanno confermato un dato per loro evidente, e cioè che per un bambino avere due genitori (e di sesso diverso) è importantissimo.


Chi sostiene che allevare un figlio da soli sia accettabile come «il male minore», ignora che fare famiglia non si riduce a prendersi cura di qualcuno, e che non è ragionevole legiferare prevedendo come soluzione standard un caso particolare e sfavorevole. Inoltre, le coppie disposte ad adottare sono più numerose dei bambini presenti nei vari istituti, quindi non esiste una reale necessità di «ripiegare» sui single.


Quanto sopra non significa che nei casi in cui, per motivi imprevisti e non voluti, un genitore si ritrovi successivamente da solo ad affrontare il compito educativo non possa farlo in modo accettabile, riuscendo anche a «rendere presente» in qualche modo il coniuge assente. Sarà sempre, però, una situazione non augurabile, che la professionalità dei docenti saprà come sostenere.


A questo proposito ci colleghiamo con un altro tema di cui in questi giorni si parla molto a scuola, quello della valutazione del merito.


Sulla base di una normativa precedente (art. 64 della legge 133 del 2008) il ministro Gelmini è riuscito con fatica ad avviare la sperimentazione di due progetti di valutazione, con finalità premiali, riferiti alla qualità dei docenti e alla qualità delle scuole. Per quanto riguarda i docenti si procederà gradualmente, sulla base di adesioni volontarie, valorizzando l’autonomia dei singoli istituti, ai quali è demandata l’individuazione degli insegnanti più «meritevoli», che beneficeranno di una mensilità in più.


Questa svolta che, per quanto delicata, a giudizio di molti può aprire la strada a una riqualificazione della scuola italiana, induce però a chiedersi se la valutazione del merito degli insegnanti debba estendersi (e attraverso quali strumenti) anche alla qualità dell’aiuto offerto alle famiglie e ai colleghi nello svolgimento dei rispettivi compiti educativi.
La scuola infatti è una comunità educante e la qualità dei docenti andrebbe quindi valutata anche in relazione ai frutti che produce nelle dinamiche interne a tale comunità.

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