lunedì 9 gennaio 2012

PRESIDI “A NORMA” ?

di Sergio Fenizia
Pubblicato sul mensile Fogli, n. 374, ottobre 2011, pp. 10-11
 
Al momento in cui scriviamo, le lezioni sono iniziate da pochi giorni. E mentre sul web si succedono frenetici attacchi e contrattacchi attorno alla Gelmini, nella scuola reale tutti si rallegrano per l’avvio di un altro anno di crescita, di maturazione, di amicizie, di sudate conquiste.
Anche gli insegnanti per lo più sono contenti, tranne forse quelli incaricati di elaborare l’orario d’istituto, bersagliati come sono dalle richieste o dalle proteste infuocate dei colleghi.
So di uno di questi malcapitati che, ormai ogni anno, ne prepara contemporaneamente due versioni.
Una, che distribuisce in prima battuta. Ed è quella contro la quale si accendono gli animi.
Un’altra, quella buona, che tira fuori solo in un secondo momento e che, rispetto alla prima, sembra a tutti preferibile.
Un altro di questi malcapitati, invece, adotta la strategia del mordi e fuggi. Prepara l’orario e scappa. Subito, sistematicamente, dopo averlo consegnato, scompare dalla circolazione per alcuni giorni, stacca il cellulare, fa perdere ogni traccia di sé. Riappare solo dopo che gli sfoghi dei colleghi hanno perso la loro veemenza.
Per altri versi, una simile concentrazione di lamentele e di critiche tocca a volte i dirigenti scolastici. Ma, nel loro caso, equamente distribuite lungo tutto l’arco dei dodici mesi.


Un collega, che per un paio d’anni ha insegnato materie scientifiche nelle scuole della provincia di Roma, e che era costretto a parecchie ore di treno giornaliere, mi diceva che in alcuni momenti non c’era scompartimento nel quale non ci fosse un gruppo d’insegnanti pendolari che a un certo punto non cominciasse a dire peste e corna del proprio preside.


È anche vero che molti docenti stimano i propri dirigenti, ma che la loro posizione non emerge con la stessa vivacità, perché di solito chi demolisce fa più rumore di chi costruisce, e chi vorrebbe difendere l’operato di chi governa deve anche vincere una certa pigrizia nonché un certo timore di fronte all’aggressività di chi attacca, peraltro con generalizzazioni e semplificazioni spesso eccessive.

Considerazioni analoghe, in verità, qualcuno le ha fatte recentemente anche a proposito del polverone sollevato attorno alla batteria di quesiti preparata dal MIUR per la preselezione dell’imminente concorso a dirigente scolastico. Salvo imprevisti, il 12 ottobre, 42.000 docenti che aspirano a uno dei 2.386 posti avranno probabilmente già affrontato i 5.700 test a risposta multipla.

Ma poiché le considerazioni emerse possono rivestire un interesse che va al di là della situazione contingente, ne riportiamo qualcuna. Per esempio, quelle di Norberto Bottani reperibili sul sito web dell’ADI, l’Associazione Docenti Italiani. Il noto analista sostiene che «la lettura di un numero, anche molto limitato, di quesiti, fa immediatamente balzare agli occhi come, in diversi casi, le domande siano generiche, in altri ambigue, in altri del tutto opinabili. Si tratta, in quest’ultimo caso, di domande per le quali non vi è una risposta univoca, e questo stravolge la tipologia di test che si è inteso utilizzare, ossia quesiti che richiedono una sola risposta esatta fra le quattro fornite per ogni domanda. Il problema che sorge è il seguente: con domande opinabili, la risposta giusta è pure opinabile, ma se si ritiene giusta una sola “opinione” si slitta verso una valutazione normativa che mira a identificare la conformità di pensiero con una dottrina precostituita».

Tra le domande opinabili, cita per esempio la n. 53 della 5ª Area: Quale definizione di cultura, tra le seguenti, è oggi maggiormente condivisa all’interno delle scienze sociali? «Non mi consta», osserva Bottani, «che esista una definizione di cultura maggiormente condivisa all’interno delle scienze sociali. La definizione di cultura è ampiamente dibattuta e differenziata [...] nessuna teoria culturale può oggi considerarsi dominante e quindi usata come tale per le risposte. Questa è quindi una tipica domanda opinabile, poiché non esiste una sola risposta inequivocabilmente giusta e nemmeno esclusiva. È il caso di ribadire che le risposte giuste in un questionario di questo tipo devono essere esclusive e le domande puntuali, prive cioè di elementi di ambiguità».

Personalmente, comunque, più che domandarci quale tipologia di test utilizzare o quali conoscenze andare a verificare, per la selezione dei futuri dirigenti scolastici, preferiamo chiederci quale insieme di competenze, di qualità e di sensibilità debba avere un buon preside. Se il ruolo del dirigente scolastico si avvicina sempre di più a quello di un burocrate o di un manager, e si riducono progressivamente gli spazi previsti per l’esercizio di mansioni più vicine alla mission della scuola, si rischia di avere delle macchine perfettamente funzionanti (sarà mai possibile nel nostro Paese?), ma il cui risultato potrà essere tutto, ma non certo educativo.

Il tipo di dirigente scolastico che ci piacerebbe vedere sempre più diffuso è quello di chi, senza trascurare i conti, sa rendere conto della responsabilità che si assume dirigendo un’impresa educativa.

Di chi sa responsabilizzare i docenti della scuola che dirige, creando un clima di stima reciproca, di esigenza, di cordialità. Consapevole che aggiungere valore umano e sociale con la propria azione educativa non significa inseguire gli eventuali standard (che pure vanno tenuti presenti), ma soprattutto conoscere i dati di partenza, e cercare di migliorarsi. Invogliare i propri docenti a mettersi sempre in gioco e, attraverso di loro, favorire la maturazione di genitori e alunni. E, non ultimo, avere il coraggio di aprirsi a modelli educativi che rompano i rigidi schemi dello statalismo scolastico, cercando soluzioni che consentano di personalizzare sempre di più il lavoro educativo.

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