giovedì 2 agosto 2012

UNA PREGHIERA PER I SOLDATI DELLA NAVE PUNICA


Fonte: http://www2.rgzm.de/Navis/Ships/Ship056/NaveMarsalaItalian.htm
di Sergio Fenizia
Si riproduce, con lievi differenze, l’articolo pubblicato sul mensile Fogli, n. 383-384, luglio-agosto 2012, pp. 12-13

Il pulmino da venti posti avanzava sulla litoranea di Marsala. La superficie dello Stagnone era increspata da un vento fresco e rifletteva la luce del sole che di lì a poco avrebbe iniziato a tramontare.
Stringere leggermente le palpebre era istintivo.
Oltre la linea sottile dell’Isola Grande, dalla terraferma si distingueva, nitido, qualcosa di più della semplice sagoma delle Egadi, con i loro improvvisi rilievi.

«Ecco», aveva detto il maestro, «guardate all’estrema sinistra! Al largo di quella lingua di terra c’è il tratto
di mare in cui è affondata la nave punica che abbiamo visto al museo archeologico».
La storia dei Fenici l’avevano studiata poche settimane addietro sui libri di scuola. Adesso, quel viaggio d’istruzione («la gita di due giorni», come la chiamavano i bambini) si era rivelato un’opportunità felice per una conferma in loco.

Fonte: http://www2.rgzm.de/Navis/Ships/Ship056/NaveMarsalaItalian.htm
Al museo BaglioAnselmi, molto arricchito negli ultimi anni, gli archeologi in erba avevano sgranato gli occhi di fronte all’allestimento che, nella sua semplicità, consentiva di farsi un’idea abbastanza precisa di una nave punica del III secolo a.C.: forma, dimensione, colore, ma anche rumore, odore, sapore. Di riproduzioni a stampa o al computer, ne avevano già viste, ma osservarla dal vero era un’altra cosa. Una parziale sagoma metallica, alcune assi di legno, antiche e moderne, ben assemblate stimolavano un esercizio dell’immaginazione tanto proficuo quanto piacevole. Quello era il pezzo forte, ma c’era tanto altro ancora da visitare.

 Improvvisamente, nella grande sala aveva echeggiato un suono fortissimo, come di sirena. Una donnona bionda, elegante nella sua divisa blu, dopo un sobbalzo si era precipitata in direzione di una vetrina poco distante. Alcuni turisti si proteggevano le orecchie con le mani. Un alunno gracilino, a scoppio ritardato, comincia a ripetere istericamente: «È scattato l’allarme! È scattato l’allarme! È scattato l’allarme!», finché il maestro non lo aveva guardato severo e uno dei compagni non gli aveva gridato scherzoso: «L’abbiamo capiiitooo!».
Tutti avevano riso. Dopo un po’ anche lui, quando si era rasserenato.

A quel punto, comunque, il maestro era fisicamente stanco e pensava che gli alunni lo fossero ancora di più. Infatti, aveva notato che, ogni tanto, qualcuno di loro si divertiva a rubare la sedia a qualche addetto alla vigilanza o a spingersi e stuzzicarsi a vicenda.
Era un gioco come un altro, ma era anche un sintomo da non sottovalutare. Nella sala successiva, li aveva raccolti vicino a sé e con due parole aveva voluto incoraggiare i meno entusiasti a resistere ancora un po’, per sfruttare al meglio quell’occasione preziosa.
«Maestro, ma quale stancato! È bellissimo! Qua io ci starei due ore!». A** e G** erano affascinati.
L’immediatezza e la spontaneità della loro risposta aveva stupito il maestro, che si era prodigato per favorire una rappresentazione mentale della vita di chi aveva utilizzato quegli oggetti decine di secoli prima, o di chi li aveva fabbricati, o di chi li aveva rinvenuti ecc. 

Quell’entusiasmo andava al di là degli effetti prevedibili del suo lavoro educativo.
Fonte: Wikipedia
Era l’ennesima prova del fatto che certi studenti, in alcuni àmbiti, andrebbero avanti benissimo anche da soli, e che per essere un buon insegnante il primo passo è quello di (almeno) non ostacolarne la crescita e la maturazione. Ciò non toglie che affinché ciascun alunno «raggiunga» la propria eccellenza – vero esito dell’educazione personalizzata – è necessario (ma non sufficiente) che l’insegnante abbia fatto qualche passo in più nella propria maturazione umana e professionale. Laddove i «passi» non sono una questione cronologica o di mera competenza disciplinare, cose che si possono trovare (quasi) in ogni scuola. Infatti, l’esperienza didattica e le conoscenze relative al proprio àmbito di insegnamento sono un mero prerequisito della professione docente.
Il bello viene dopo, o meglio, oltre.

Dopo questa digressione, torniamo ora al museo archeologico e al nostro manipolo.
Guardare i reperti, leggerne le targhette esplicative, ascoltare qualche commento dell’insegnante... metteva a dura prova la pazienza di alcuni. Per altri, invece, quel guardare evolveva in un contemplare che alimentava lo stupore e, in un circolo virtuoso, ne era a sua volta alimentato.

Il collegamento tra ciò che si studia e l’esperienza personale, la propria vita e le proprie convinzioni, conferisce alla mente dello studente un’energia propulsiva a cui tutti gli scolari avrebbero diritto. Con quale serietà, per esempio, osservando una grande teca, uno dei giovani visitatori aveva chiesto: «Ma queste tombe sono vere? E le ossa che si vedono qui, sono proprio di persone vere? Anche se antiche?».
«Certo», aveva risposto il maestro, «in alcuni casi però le ossa possono essere sostituite con dei calchi…».
«Ma allora potremmo pregare per queste persone…», aveva replicato l’alunno.
«E anche per i soldati della nave punica che sono morti!», aveva aggiunto un altro.
«Certamente!, però lo faremo dopo», aveva concluso il maestro.

Fonte: http://www.maxt.it/DiariodiBordoEstate2002/Diario_DV_2002Stagnone.htm
E dopo, sulla litoranea di Marsala, se l’erano ricordato: «Maestro, dobbiamo pregare per i morti delle guerre puniche!». Ma qualcuno aveva aggiunto: «Anche per tutti i bambini che hanno fatto la prima comunione!». Infatti, quell’anno anche molti di loro l’avevano fatta, come tanti loro coetanei.
E così, per quelle due intenzioni, avevano recitato tutti insieme una piccola parte del rosario del giorno, con lo sguardo rivolto al luogo dove avevano perso la vita alcuni soldati punici del III secolo avanti Cristo, intenti a svolgere il proprio dovere.

L’autista del pulmino, un omone rude, che vent’anni addietro aveva prestato servizio militare come addestratore nel Battaglione San Marco, ascoltava intenerito.
Di armi e di quella terribile disgrazia che è la guerra, ne sapeva qualcosa.
Stavano per entrare in autostrada. Poco più di un’ora dopo sarebbero arrivati a Palermo, l’antica Panormos, fondata dai Fenici e che, secondo gli storici, aveva come nome Zyz, il Fiore.

4 commenti:

  1. ... che bella quest'esperienza Sergio, mi hai fatto sorridere! Pensavo alla tenerezza dei bambini e delle loro 'piccole' riflessioni. Ma fanno bene questi 'incontri' col passato e con la storia, e come se fanno bene!
    Mi hai fatto ricordare mio figlio piccolo qualche anno fa. E' innamorato di tutto ciò che riguarda Leonardo, macchine e disegni per il volo. Ma a quattro anni ancora non aveva ben chiaro che fosse morto da un pezzo! Portammo i bambini a vedere una mostra sulle macchine di Leonardo, bellissime riproduzioni con un percorso didattico che faceva entrare i bambini a diretto contatto con i meccanismi delle macchine. Ad un certo punto mio figlio, la sala piena di gente, chiese alla guida come aveva fatto Leonardo a trasportare fin lì tutte le sue macchine... la guida perplessa, stavamo per intervenire quando mio figlio più grande cominciò a spiegargli sottovoce che Leonardo era morto tanto tempo prima... occhi sgranati, manine giunte dalla perplessità, si lasciò andare urlando in un clamoroso: E' MOORTOO??? Credimi, in quei momenti tutti non sapevano come trattenere il sorriso, ma fece una tenerezza indicibile quando chiese di poterlo andare a trovare al cimitero... e giù lì dopo a spiegargli che non si sapeva nemmeno dove fosse seppellito, e neppure in Italia. Conclusioni... gli uomini avevano 'maltrattato' il suo mito. E chissà... forse non aveva tutti i torti, no? Come pregare per i soldati punici, magari nessuno ci aveva pensato mai!!! I bambini hanno sempre una marcia in più. Un abbraccio: Maria Rita Tarantino

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    1. Cara Maria Rita, ti confesso che questo articolo mi piace particolarmente. Il tuo commento mi giunge come una conferma.
      La storia di tu figlio e di Leonardo è fantastica! Grazie per averla scritta qui. Un saluto.

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  2. Buonasera Prof.,
    Le scrivo perché il Suo racconto mi ha risvegliato la memoria della gita scolastica del mio III Liceo Classico, l'anno della Maturità, quando il Prof.di latino e greco ci portò a visitare la Grecia, uno dei momenti più belli del mio percorso formativo, una lezione continua di una settimana in cui toccare con mano, scoprire, capire, imparare ad avere una visione sinottica di tutto quanto appreso fino a quel momento dalla storia alla storia dell'arte passando per la grammatica greca!Parlando di matematica e geometria...Di filosofia.
    E poi risento quasi le voci della mia classe, nel teatro di Epidauro, increduli quasi di stare in quel luogo solo visto sui libri, quando pian piano uno alla volta provavamo le "voci" per sperimentare l'acustica e provavamo i versi dell'Ecuba che avremmo poi portato all'Esame di Maturità....
    Ecco questo è lo stupore che credo abbiano provato i ragazzi del racconto, questa trasmissione di sensazioni dal luogo alle persone...bellissima. E questo cerco di indurre in mio figlio ogni volta che visitiamo luoghi interessanti, cerco di suggerire e rievocare e poi lo lascio andare da solo alle considerazioni come lo scorso anno a Monte S. Angelo (Puglia,Svevi, Normanni, Federico II...e mille domande curiose sul perchè i Longobardi amassero tanto i luoghi impervi dato che non è proprio un'autostrada a condurre fin lì!).Come dice la sig.ra Maria Rita, i bambini hanno sempre una marcia in più e la loro curiosità di conoscere è per noi adulti lo stimolo a mantenere sempre viva la nostra.
    Cordiali saluti.
    Paola

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    1. Grazie, Paola, per la sintetica descrizione di un'esperienza così ricca e ...invidiabile!
      Mi pare buona anche la sua strategia: proporre ai figli e poi lasciare che vadano da soli.

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Grazie del commento. Sarà pubblicato appena possibile.